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Ehm…ma come si chiama? È solo un momento di Tartle
È la classica situazione che è capitata a tutti noi: mentre siamo presi da altro qualcuno ci saluta per nome e noi non riusciamo a rispondere al saluto con altrettanta tempestività e gentilezza rimanendo per un momento impappinati prima di pronunciare il nome dell’altra persona. Oppure quando dobbiamo presentare una persona a un’altra e il nome è semplicemente svanito dalla nostra mente.
Quando succede gli scozzesi sono soliti scusare la loro mancanza con questa frase “Sorry for my tartle”
Tartle è un termine unico della lingua scozzese che coglie esattamente il momento di esitazione in cui si sta cercando in testa il nome della persona, quei momenti in cui possiamo letteralmente sentire gli ingranaggi del nostro cervello muoversi e cercare in tutti i meandri il nome di quella persona che sappiamo conoscere ma che non arriva immediatamente sulla punta della lingua. Questo è ciò che rende il termine così speciale e affascinante perché non si usa se la dimenticanza del nome è completa e non ci ritorna più alla mente.
Questa momentanea afasia mi fa pensare all’origine del linguaggio e alla necessità di nominare le cose, nel senso di dargli un’etichetta arbitraria, una parola, per poterle definire, indicare, richiamare e quindi poterne parlare. Le etichette, o parole, che diamo alle cose, indicano la necessità di categorizzare in modo da riunire le cose che sono simili nella realtà. Questo mi porta alla distinzione linguistica tra nomi comuni e nomi propri che hanno connotazioni semantiche diverse. Infatti, mentre i nomi comuni identificano categorie ben definite con caratteristiche simili e sono valide per ogni esemplare che appartiene a quella categoria (es. un gatto, un divano), nel caso dei nomi propri questi fanno riferimento a entità individuali che sono una collezione di caratteristiche casuali e non esattamente ripetibili. Ad esempio, le caratteristiche che definiscono il mio amico “Stefano” (ingegnere, alto 1.87 m, porta la barba e gli occhiali) sono uniche e specifiche dell’entità “Stefano” perché non tutti gli ingegneri hanno la barba e gli occhiali e sono alti 1.87 cm.
Secondo gli studiosi di neuroscienze sembra che i nomi propri e i nomi comuni siano elaborati dal cervello in modi diversi e che il sistema di memorizzazione dei nomi propri abbia seguito una via evolutiva alternativa, più fragile rispetto a quella dei nomi comuni. I nomi propri hanno quindi un legame più labile con il proprio significato rispetto a quello che hanno i nomi comuni e per questo motivo è più difficile ricordarli.
Immagino che gli scozzesi non fossero a conoscenza dei meccanismi del cervello per la memorizzazione dei nomi, ma hanno saputo cogliere un momento della realtà assegnandogli un’etichetta precisa che nessun’altra lingua ha nel proprio vocabolario.