Gli interpreti accorciano le distanze
“Un libro accorcia le distanze”
Questo lo slogan dell’ultima edizione di PordenoneLegge che si è appena conclusa. Un libro apre orizzonti, amplia la visione, accomuna il nostro sentire, diffonde idee e pensieri.
La diffusione di idee e pensieri può essere ostacolata dal limite della lingua che per molti può essere una barriera e muro impenetrabile di suoni e segni sconosciuti.
Accorciare la distanza della lingua è il compito di traduttori e interpreti che rendono fruibile il pensiero degli autori a un pubblico più vasto. Lavorano nell’ombra, invisibili, sono come dei mannequin: si portano addosso parole e pensieri per dargli forma, rivelarli e farli risaltare, restituendo significati e sfumature, invogliando a saperne di più.
Il risultato è così naturale e immediato che spesso ci si dimentica del medium e si pensa di sentire direttamente la voce viva dell’autore.
Questa esperienza si svela soprattutto quando ascoltiamo un interprete in presenza come nelle conversazioni di PordenoneLegge. Accanto all’autore, l’interprete ascolta, annota e riporta il messaggio. Ascoltare l’interprete è come attraversare il muro dei suoni, decifrare un codice ignoto che diventa chiaro e comprensibile. L’attenzione è tutta per lei/lui o meglio per le sue parole che sono quelle medesime dell’autore che ci arrivano con una brevissima traslazione temporale.
L’interprete è la voce dell’autore in differita: semplice, naturale, senza sforzo.
In realtà è quando si conosce e capisce la lingua dell’autore che si apprezza il lavoro e la bravura dell’interprete. Mantenere alto il livello di attenzione, ascoltare e capire, fare collegamenti, risolvere giochi di parole, spiegare riferimenti culturali, sciogliere sigle e acronimi, annotare manualmente, non saltare alcun passaggio e poi riavvolgere il nastro, invertire il registro linguistico e riprodurre tutto cambiando le parole, ordinando la grammatica, mantenendo il significato, il tono, lo stile, l’intenzione. Tutto in una manciata di minuti.
Immagino il cervello dell’interprete come un flipper caricato dalla molla delle parole che corrono veloci e sbattono contro le campane, rimandandosi da una all’altra, attivando circuiti linguistici in un meraviglioso gioco di luci e suoni che si manifesta però in una voce ordinata, naturale, chiara.
Essere un mannequin non significa essere un supporto vuoto. L’essere invisibile è parte integrante del compito dell’interprete, per essere fedele riproduttore della voce altrui. Ma dentro di sé l’interprete ha un’identità ben definita, una finissima costruzione di lingue e cultura, professionalità e preparazione tecnica.
Mi piacerebbe che negli incontri che necessitano di traduzione, insieme all’autore venisse riportato anche il nome dell’interprete, quel supporto così straordinario che ci fa sentire la voce degli autori quasi senza che ce ne accorgiamo, per potergli dire “bravo” e “grazie” chiamandolo per nome.
Un libro accorcia le distanze. Gli interpreti attraversano muri.